domenica 27 aprile 2014

“La svolta. Donne contro l’Ilva” e non solo!

Il racconto della vicenda umana, di lavoro e di sofferenze, di sei donne tarantine, lavoratrici, mogli e madri, e il loro bisogno di riscattarsi e riscattare l’intera comunità dai soprusi, dalle ingiustizie, dall’imperante illegalità, al centro del documentario “La svolta. Donne contro l’Ilva”, in cui l’autrice Valentina D’Amato racconta, per mezzo di quelle sei bocche, di una città “violentata nel corpo e nell’anima”. 
Francesca e Patrizia, mogli, e Vita, mamma, di operai che hanno trovato la morte all’Ilva; Margherita, lavoratrice "mobbizzata" e licenziata, e Anna finita sulla sedie a rotelle; Caterina, mamma di un bambino autistico, probabile conseguenza dell’inquinamento.
Donne che si ribellano alla “fabbrica”, intesa nella sua accezione più negativa di arretratezza (nel 2014 ?!), che da iniziale fonte di salvezza e di sostentamento si trasforma nel peggiore dei mali, a causa del mancato rispetto delle norme a tutela della sicurezza sul posto di lavoro e dell’ambiente e per i conseguenti risvolti, subiti da una Terra e la sua gente, dovuta alle continue violazioni di quelle leggi , anzitutto in termini di salute.
Donne che, alla ricerca affannosa della giustizia, quella vera, quella davvero giusta, combattono nelle aule di Tribunali, scendono in piazza a manifestare, denunciano le responsabilità del governo, a livello locale e nazionale, per porre fine, una volta per tutte, all’impunità degli “intoccabili” che mortifica la dignità, uccide mariti e figli, attenta alla salute.
Non può finire nel dimenticatoio il tugurio delle Palazzine Laf, il confino per i disobbedienti alle “regole”; non possono relegarsi più ad un trafiletto di giornale le morti bianche, anche se di bianco c’è realmente poco, perché in quell’ingranaggio dell’organizzazione del lavoro, imposto dai “padroni”, c’è sempre un responsabile e non si può inculcare l’idea astrusa che in quel tipo di lavoro può capitare la morte, non deve capitare; non può relegarsi ad un trafiletto di giornale la celebrazione di un’udienza di un processo, alla ricerca della prescrizione, perché i responsabili se la scampino senza conseguenze, anche con l’ausilio del governo, dal momento che il 03.03 scorso è stato varato un altro provvedimento shock. Ed infatti, per inciso, vi informo che il rischio che il processo Ilva salti si fa sempre più concreto, visto e considerato che il delitto di disastro si configura, a causa di quel recentissimo provvedimento ingiusto, soltanto se il danno ambientale presenti i caratteri dell’irreversibilità nei confronti dell’ecosistema, (?), ovvero quando non c’è più niente da fare. 
Quel senso di omertà dei lavoratori ormai è stato squarciato (i liberi e pensanti ne sono la riprova), come anche quel senso di rassegnazione, mista a fatalismo, è stato abbandonato e si è trasformato in voglia di riscatto di un’intera popolazione, e del suo territorio, che si è organizzata in associazioni e comitati attivi e sensibili ad ogni problematica, trovando la maniera di protestare e diffondere la vera verità, anche attraverso un documentario.
Signor Goffredo Buccini, questa è Taranto e non solo. C’è tanto altro di buono e tanto altro ce ne sarà. Tanto va certo ricalibrato, tanto va reinventato, costruito. È vero le criticità esistono a Taranto, ma come in qualsiasi altra città, e le assicuro, quaggiù, non si sparano mortaretti per festeggiare la scarcerazione di boss, alla faccia dei cortei di don Ciotti. A quel corteo, come a tutte le altre manifestazioni che si sono svolte, per un futuro migliore della città, in massa i tarantini hanno partecipato. Questa è la peggiore offesa che avrebbe potuto rivolgerci, anche se mi rendo conto che le notizie sono arrivate dove lei si trova a metà, e purtroppo in alcuni casi, distorte. 

ALESSIA SIMEONE