domenica 3 agosto 2014

RACCONTO: "GIUNGLA" DI CHRISTIAN SMIRAGLIA

Una lunga striscia d'asfalto rovente, queste macchine passano senza aver pietà di me. 
Sono qui, seduto sul ciglio della strada, qualcuno mi insegue; qui nessuno mi aiuterà e questo mi fa paura: "Cosa ho sbagliato? Perché sono qui?”.
Il sole è tramontato da un pezzo, la lieve brezza estiva adesso è vento gelido nelle mie ossa. 
Io sono nessuno qui, un vagabondo per questa strada, in cerca di calore e di amore. 
In lontananza vedo un bar, e della gente che ride e scherza: "Dovrei avvicinarmi? Potrei chiedere un pezzo di pane?".

Mi avvicino ad un tavolo, un bambino mi guarda con disprezzo, io l’osservo con timore; vorrei dirgli qualcosa, ma non parliamo la stessa lingua. Io sono nessuno, sono diverso, e di questo l'uomo ha paura.
Sono ormai giorni che vagabondo, sono sporco, malandato, ma io quale colpa ho?! Dormo rannicchiato in un angolo della strada, rovisto in un cassonetto, elemosino pietà. 
Ho una ferita sull'occhio destro, è fresca e sanguina un po'. Alzo il viso al cielo, l'aria è elettrica, l'odore della pioggia si fa intenso, mi inseguono e devo cercare riparo. Poco più avanti noto un portone aperto, sono titubante, ma rischio ed entro: si sentono le voci della tv, si sentono i profumi delle case pulite, le famiglie felici; mi accuccio davanti ad una porta.

Una famiglia sta rincasando, un bambino vorrebbe avvicinarsi a me, ma il padre gli ferma la mano con forza; mi si avvicina lentamente, quasi avesse paura di me. 
Eppure fino a pochi giorni fa la mia vita era diversa, non avevo questi problemi, non incutevo timore;  tutto era più semplice: un pasto caldo, un tetto sotto cui vivere, i miei giochi, la mia vita e soprattutto la mia famiglia. E adesso la mia famiglia dov'è? Perché mi ha fatto questo? Gettato via da un’auto in corsa, senza pietà; gettato via come un giocattolo usato; gettato via senza alcuna motivazione, con freddezza. Maledetto me, ho corso così tanto da perdere il fiato; ho corso così tanto da sentirmi stremato. Ma non è stato abbastanza, non li ho raggiunti; quella striscia d'asfalto non finiva mai, e quell’automobile era sempre più lontana. 
Adesso sono rassegnato, spero solo che quest'uomo mi possa dare un  po' di cibo e abbia pietà di me. Ma il mondo è una giungla, e io non sono fatto per la giungla: lui mi osserva attentamente e i nostri occhi si incrociano; alza un braccio, vuole colpirmi; mi alzo di scatto e corro via, più veloce che posso, lui mi rincorre un po'. Continuo a correre, a correre e a correre fino a perder di nuovo il fiato. Lascio quell'uomo lontano, e forse anche gli altri che mi inseguivano: a mie spese ho imparato che qui non esiste la pietà. Il cielo ormai è nero e riversa pioggia su di me. Sono stremato, non posso più camminare, sono costretto a fermarmi sul ciglio della strada per riprender fiato. Mille domande risuonano nella mia testa, probabilmente avrei dovuto imparare le leggi della giungla quando ne ho avuto il tempo, quando ho avuto le forze necessarie. Sento in lontananza un branco di cani abbaiare, sono loro e mi stanno cercando di nuovo. Ho messo la zampa nel posto sbagliato, nel loro territorio e mi è costato caro, mi è costato un occhio. Il mio cuore batte all'impazzata, devo rialzarmi e correre di nuovo su questa strada. In questa giungla non ci si ferma mai, anche se sei stanco e affamato come me. Le macchine sfrecciano a tutta velocità ma devo andar via di qui, i loro ululati sono sempre più vicini. La pioggia scende veloce, corro più che posso; se mi trovassero, mi farebbero a pezzi. Una luce mi abbaglia: è una vettura. Resto paralizzato, ormai non ho più scampo. Una lunga striscia d’asfalto gelida, queste macchine passano senza aver pietà di me. Infondo sono solo un cane abbandonato al mio destino. Chiudo gli occhi.

DI CHRISTIAN SMIRAGLIA